Lo sapevi che il rito dell’aperitivo è nato nell’antica Roma?

La Città Millenaria è conosciuta in tutto il mondo per centinaia di ottimi motivi. Dai miracoli architettonici e artistici dei suoi fondatori alla gloria degli ambienti Vaticani, dall'indole spontanea e alla mano dei suoi correnti padroni di casa alla cucina prelibata, si potrebbero stilare liste intere sui buoni motivi per aver sentito parlare di Roma, della sua cultura e delle sue tradizioni.
E in tutte queste liste o quasi, mancherebbe una delle usanze più popolari dei giorni nostri che però ha qui le sue origini: quella dell'aperitivo.

Romani, gente di bocca buona
Prima di cominciare a parlare di aperitivi, antipasti e portate varie, però, è importante fare alcune gustose premesse storiche sul modo in cui questo rito entrava a far parte del repertorio dei pasti romani - e questo significa parlare dei sontuosi banchetti tenuti dai nostri avi.

Secondo gli storici romani, il banchetto medio consisteva di almeno sette portate, che prendevano nome di 'fercula'. Queste portate cominciavano anzitutto con gli antipasti, chiamati 'gustatio', tre primi piatti, due arrosti e infine il dolce, chiamato 'secundae mensae': quantità di cibo sconcertanti per noi gente del terzo millennio e sufficienti ad ostruire le coronarie solo pensandoci, ma che erano quasi pietose per i ricchi dell'epoca. Questi banchetti erano occasioni tanto di gustare prelibatezze da ogni parte dell'Impero quanto di fare sfoggio della propria ricchezza coi convitati: i piatti offerti, infatti, già selezionati per rarità, bizzarria e qualità più che per pregi nutritivi, erano accompagnati da ricche coreografie e spettacoli per il beneficio dei presenti.
Lo spettacolo, dunque, era tanto nei piatti quanto attorno ai piatti - nonostante i danni che un'alimentazione simile causasse erano già ben noti, se non addirittura evidenti, già ai contemporanei.

In vino veritas: l'importanza del drink
Posto d'onore a questi banchetti aveva il vino, che in origine consisteva di una qualche sorta di mosto fermentato ma che verso la fine della Repubblica si imparò a raffinare e migliorare attraverso la miscela di differenti varietà di uve; è all'inizio del periodo Imperiale invece che i Romani cominciano ad importare vini non italiani, primariamente dalla Grecia per via della loro più lunga conservazione, ottenuta per mezzo di miscele con acqua di mare, argilla o sale.
Sempre dalla Grecia deriva l'usanza di miscelare vino e acqua a fine di consumo, come testimoniato da alcuni versi degli scrittori della classicità come Anacreonte e Filocoro; un'usanza che sopravvivrà per lunghi secoli, come indica un'iscrizione del IV secolo dopo Cristo in una catacomba romana, rappresentante appunto un banchetto.
Curiosamente, a differenza di quanto accade al giorno d'oggi, bere il vino puro era considerata cosa da ubriaconi: in condizioni normali, infatti, il vino era servito dopo essere stato filtrato per mezzo di un colino e mescolato con acqua in una grande coppa, il cosiddetto 'cratere', da cui poi i commensali si servivano liberamente.

I banchetti degli antichi Romani sono arrivati fino a noi come esempi di sregolatezza, lussuria e smodatezza, esempi negativi tramandati in parte dagli stessi grandi poeti e scrittori classici, in parte dalla successiva morale cristiana, e di loro tracce nei costumi correnti è rimasto poco.
Parte di quel poco, però, è la 'gustatio'.

Protitpi di apertivo: gli albori greci
Abbiamo già menzionato la 'gustatio', la prima delle portate di ogni banchetto che si rispettasse; ma c'è altro da dire su di esso e sui suoi due predecessori greci.

Il primo antenato risale a Ippocrate, il famoso medico greco del V secolo a.C., il quale prescriveva ai pazienti affetti da inappetenza un medicamento di sua ideazione: tramandato col nome di 'vinum hippocraticum', era una miscela di vino bianco e dolce al cui interno erano macerati fiori di dittamo, assenzio e ruta. Questa è forse la primissima, rudimentale idea di 'aperitivo' che col tempo, e soprattutto con i romani, si sarebbe affinata.

Il secondo antenato è il menù descritto nel pranzo di Filossene, che permette agli storici contemporanei di comprendere cosa i ricchi di quell'antico popolo considerassero prelibatezze nel IV secolo a.C.; tra queste, però, il punto più interessante è non tanto cosa venisse servito ma il come, ossia leggere pasticcerie a inizio pasto per stimolare l'appetito dei commensali.
Qui ci si avvicina leggermente al concetto più proprio dell'aperitivo, di impronta più mangereccia e meno medicinale.

A questo proto-antipasto, il cui nome originario non ci è pervenuto, fa seguito la 'gustatio' romana.

Dalla 'gustatio' per il 'mulsum', fino all'aperitivo
Le modalità della 'gustatio' erano piuttosto simili a quelle del secondo avo; le vivande offerte, in questo caso, erano chiamate da Cicerone 'promulsus' in quanto intese per essere accompagnate col 'mulsum', il vino mielato servito agli inizi dei banchetti.

Il 'promulsus' in questione comincia da qui a ricordare più da vicino i nostri aperitivi: da una parte il 'cocktail' di vino e miele, dall'altra questi antipasti appetitosi e adatti a stuzzicare il palato.
Cicerone narra che questi solitamente consistessero in ortaggi conditi con salse agre e piccanti, una combinazione scelta tanto per invogliare l'appetito e preparare le papille gustative alle portate vere e proprie quanto a favorire la digestione di quel che sarebbe venuto dopo, e che l'aperitivo potesse essere chiuso con salsicce, ostriche e ricci di mare; immancabile, però, era la presenza di un uovo sodo.

Le voci dell'antichità non parleranno mai apertamente di 'aperitivo' e continueranno a riferirsi alla portata iniziale con 'gustatio', nonostante le piccole affinità e parallelismi con l'epoca moderna che stavano andando a crearsi, ma l'etimologia latina del termine ci racconta ugualmente qualcosa di molto significativo: 'apertivus', infatti, significa letteralmente 'che apre', e per via di questo suo uso di 'aprire' i pasti e i banchetti si arriva al termine moderno, rimasto pressoché immutato nell'accezione.
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, l'usanza della 'gustatio' si perde nelle tenebre del medioevo: e riaffiorerà solo un millennio più tardi in uno scritto del '500, più come una nota a piè di pagina che un costume vero e proprio.
Per quello bisognerà attendere il 1786 e il signor Antonio Benedetto Carpano, l'inventore del celeberrimo vermut che già intorno all'800 avrebbe spopolato nei caffè d'Italia e che avrebbe continuato a farlo fino ai nostri giorni, seppur in forme, colori e gusti diversi, da solo o come base di altri cocktail, ma sempre in prima linea all'inizio di ogni convivio - proprio come voleva la tradizione romana.

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05/02/2018
In vino VeritasDalla gustatio all aperitivo