Alla scoperta delle “cosmatesche”, magnifiche decorazioni pavimentali di molte chiese romane

Una delle parole in cui immancabilmente vi sarete imbattuti, sfogliando una delle tante guide turistiche e dell'arte di Roma, sarà stata quella di 'cosmatesche', 'cosmati' e le sue varianti sul tema.
Non è un termine particolarmente comune, specialmente per chi non è uno studioso dell'arte e architettura religiosa, chi non è un addetto ai lavori e anche, semplicemente, per chi non vive nell'Urbe.
Questo articolo si propone, quindi, di trascinare alle tanto meritate luci della ribalta queste affascinanti decorazioni su cui troppo spesso si finisce per glissare.

Cosmati: l'origine della parola
Prima di parlare delle cosmatesche in sé o dello stile che da loro prende il nome, è indispensabile parlare dei cosmati - marmorari romani che formarono serie di botteghe e di cui ci sono pervenuti i nomi di sette membri appartenenti a quattro diverse generazioni, vissute tra il dodicesimo e il tredicesimo secoli e celebri per le loro opere artistiche ed architettoniche, le più famose delle quali sarebbero stati di mosaici e le loro decorazioni realizzate nelle chiese, quelle che prendono il nome di 'cosmatesche'.

Questo legame tra arte e architettura sacra e marmorari romani nasce con la figura di Tebaldo Marmorario (circa 1100-1150), che ricevette in vita l'onore e il privilegio di ricevere le più grandi e prestigiose commissioni del Papato in quell'epoca, ed è proseguita con la sua prole - Lorenzo di Tebaldo, seguito a sua volta da Iacopo di Lorenzo, Cosima e poi i suoi figli.

Ciò che ha immortalato nella storia dell'arte questa singola famiglia, al punto di conferire il loro nome ad un intero stile e schiere di imitatori, è stata la loro straordinaria maestria e prolificità nel campo dei mosaici; il loro operato è visibile in quasi ogni pavimento musivo presente nelle chiese e basiliche romane, che si stimano essere stati realizzati tutti nel lasso di tempo tra il papato di Pasquale II (vissuto tra il 1099 e il 1118) e il 1250 circa, e tutti dalla medesima bottega marmoraria, quella di Tebaldo, Lorenzo, Iacopo e Cosma, che lasciarono le loro epigrafi in quelle 'cosmatesche' a chiare lettere.

Tanto grande era il loro prestigio all'epoca che Luca, figlio di Cosma, era annoverato tra i membri della 'schola addestratorum mappulariorum et cubiculariorum', un carica insignita esclusivamente dal papa ed esclusivamente per questa famiglia.

Tenendo in considerazione tutto ciò, diventa chiaro che l'appellativo di 'cosmatesche' deriva appunto dalla famiglia marmoraria che su quelle opere aveva lavorato; le firme di cui si è accennato, infatti, fanno spesso menzione di tale 'Cosma' (o 'Cosmas' o 'Cosmatus'), figura ricondotta dagli studiosi dell'arte sia al Cosma di Iacopo di Lorenzo attivo tra il 1210 e il 1231, sia ad un altro artista dal nome di Cosma di Pietro Mellini, il cui operato si estende con certezza tra il 1264 e il 1279.

Il primo ad usare il termine nella sua accezione corrente, ossia per designare specificamente le magnifiche decorazioni pavimentali delle chiese romane, fu però l'architetto e scrittore Risorgimentale Camillo Boito - che lo adoperò in un articolo del 1860, intitolato Architettura Cosmatesca, per parlare di questi mosaici.

Stile Cosmatesco: le caratteristiche
Chiarite le origini della parola, si può cominciare a parlare dell'arte in sé e per sé.
Con 'stile cosmatesco' si intende un tipo di decorazione perlopiù pavimentale (anche se non mancano cibori e chiostri che ne presentino caratteristiche, come il classico Chiostro Lateranense) di origine e gusto squisitamente bizantino, per quanto nato e sviluppatosi nell'Urbe.

Questo stile consisteva nell'abbellire questi elementi di chiese e basiliche per mezzo di tarsie marmoree riccamente e variamente colorate, disposte in modo da formare appariscenti e fantasiosi motivi; il modo in cui queste tarsie erano realizzate affonda le radici nella Roma della classicità, e nelle due tecniche dell'opus sectile e dell'opus tessellatum.

L'opus sectile è attestato nella storia dell'arte romana fin dai tempi di Plinio il Vecchio, che ne faceva menzione nel libro trentaquattresimo della sua Naturalis Historia: egli ne stabilisce l'origine in Caria, un'antica regione dell'Anatolia, il suo primo impiego nel Mausoleo di Alicarnasso del quarto secolo a.C., e la sua 'recente' introduzione nell'ambiente della capitale per merito del cavaliere formiano Marco Vitruvio Mamurra, capo degli ingegneri di Giulio Cesare in Gallia.

Nonostante l'antico storico, insieme ad altre voci autorevoli del suo tempo, si professassero contrari a questa tipologia d'arte e auspicassero un ritorno alla sobrietà e austerità della precedente epoca repubblicana, era a tutti evidente - anche per noi, duemila anni più tardi - che le decorazioni in opus sectile spopolassero tanto nelle domus private quanto negli edifici pubblici, ritenuti com'erano segno di ricchezza e raffinatezza dei loro committenti, e che la complessità e la sofisticatezza di quegli incastri aumentasse a vista d'occhio.

Plinio stesso ne descrive alcuni esempi, come il passaggio da semplici motivi geometrici - gli stessi ereditati dai Bizantini e secoli più tardi dai Cosmati - a sontuose iconografie di scene di caccia, pannelli ornamentali decorati con motivi floreali per arrivare addirittura al rivestimento di interi ambienti; e sempre Plinio racconta che le caratteristiche che decretassero la qualità di quelle decorazioni fossero la continuità del tessuto marmoreo (in cui le commessure, ossia i punti di contatto tra le parti incastrate, dovevano essere pressoché invisibili) e la ricchezza dei colori, ottenuta per mezzo dell'uso sia di differenti tipologie di marmo, sia di trattamenti particolari come la tipica bruciatura del giallo antico, eseguita per dare effetti di profondità all'immagine nonostante la loro prospettiva bidimensionale.

L'opus tessellatum gode di meno prestigio dell'opus sectile, in parte perché più usata in periodo medievale che in periodo romano e in parte perché meno imitato, ma si dimostra essere comunque assai rilevante all'interno dell'arte delle 'cosmatesche', tanto da essere sovente accostata o alternata alla prima tecnica.

Simile negli scopi - la formazione di ampie fantasie multicolore a partire da elementi più piccoli - e affine ai mosaici, questa tecnica consisteva nella combinazione e apposizione di piccoli frammenti colorati di marmo, pietra, pasta di vetro, ceramica e altri materiali duri (chiamati in latino 'tessella') per mezzo di malte su di un letto d'appoggio composto di ghiaia fine e legante, al fine di formare disegni geometrici, floreali o figure.

Per poter osservare dal vivo e al meglio come queste due tecniche si siano avvicinate, nel corso dei secoli, e abbiano trovato la loro sintesi nell'opera dei Cosmati, non dovrete far altro che visitare gli esponenti più suggestivi e significativi di quest'arte - il Monastero di Santa Scolastica a Subiaco, le basiliche romane di San Paolo fuori le Mura, di San Giovanni in Laterano e la Basilica dei Santi Quattro Coronati.

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02/04/2018
tecnica dei marmorari romanistile ComatescoTebaldo Marmorario